Gli albori della Civiltà Armena tra mito e storia
Le leggende narrano che gli Armeni sono i discendenti di Hayk, il leggendario patriarca fondatore della nazione armena e discendente di Noè, la cui Arca si arenò sul Monte Ararat dopo il diluvio universale. In onore a questa tradizione gli armeni chiamano infatti la loro nazione Hayastan. Gli storici fanno invece risalire le origini di questo popolo tra il 1500 a.C. e il 1200 a.C. con la nascita di una confederazione tribale nota col nome Hayasa-Azzi che risiedeva nella parte occidentale dell'altopiano armeno. Data la sua vicinanza con l’Impero Ittita, violenti scontri scoppiavano spesso con alterni risultati finché gli Ittiti sconfissero definitivamente il popolo Hayasa-Azzi verso la fine dell’Età del Bronzo.
Il regno di Urartu
Tra il 1200 e l'800 a.C., gran parte dell'Armenia venne unificata sotto una confederazione di regni chiamata dagli Assiri col nome di Nairi (Terra dei fiumi) che venne successivamente assorbita nel regno di Urartu, la civiltà che fiorì nel Caucaso e nell'Asia Minore orientale tra l'800 a.C. e il 600 a.C. e che rappresenta di fatto il primo impero armeno. Il regno venne unificato sotto il re Aramu e si estendeva dal Mar Nero fino al Mar Caspio, compresa gran parte del territorio dell'attuale Turchia orientale, vivendo il periodo di massimo splendore sotto il regno di Sarduri II. Sotto il suo regno infatti, i confini si espansero fino ai territori oltre il Tigri e l'Eufrate, al lago Urmia e ad Aleppo. Nei manoscritti e testi sacri dell'epoca, Urartu veniva spesso chiamato "Regno di Ararat" e i diversi stati confinanti utilizzavano in maniera intercambiabile "Armenia" e "Urartu" per riferirsi al paese. Per esempio, nell'iscrizione di Bisotun scolpita in tre lingue nel 520 a.C. per ordine di Dario il Grande di Persia, il paese viene definito Arminia in antico persiano, Harminuia in elamita e Urartu in neobabilonese. Tra il tardo VII e gli inizi del VI secolo a.C., il regno Urarteo fu sostituito dal regno di Armenia in modi che la storiografia non ha ancora saputo individuare in maniera certa. Secondo la linea più condivisa però, a seguito della sconfitta contro i Medi, la dinastia regnante di Urartu fu rovesciata, probabilmente proprio col loro sostegno, a favore della dinastia armena degli Orontidi.
La dinastia degli Orontidi, il dominio Persiano e Macedone e la nascita del Regno d’Armenia
Dopo la caduta di Urartu intorno al 600 a.C., il regno di Armenia venne governato dalla dinastia degli Orontidi i quali agirono come satrapi dell’Impero Persiano pagando tributi ai re persiani. In questo lasso di tempo gli Armeni assunsero nomi e costumi iranici. Nel 521, approfittando della confusione creata dalla morte di Cambise II di Persia, gli Armeni si rivoltarono ma la rivolta venne soffocata da Dario I di Persia che sconfisse i ribelli.
Con la riorganizzazione dell'Impero Persiano, l'Armenia fu divisa in diverse satrapie legate al punto tale con l'impero da inviare anche contingenti di truppe nell'invasione di Serse contro la Grecia del 480 a.C.
Nel 401 a.C., L’invasione di Alessandro Magno distrusse il regno persiano e diede inizio alla rapida ellenizzazione dell’intero Oriente. L’Armenia condivise le sorti delle altre regioni precedentemente assoggettate ai Persiani diventando satrapia dell’Impero Macedone venendo divisa in due regioni: la Grande Armenia o Sofene (compresa tra il medio corso dell’Eufrate e le sorgenti del Tigri e che in seguito si sarebbe ulteriormente divisa nell’Armenia propriamente detta e nella Sofene), e la Piccola Armenia o Armenia Pontica (situata tra l’Eufrate superiore e le sorgenti del Lico e dell’Alì). Il destino storico di questi tre regni armeni fu assai differente. Per la Piccola Armenia si rivelò disastrosa la vicinanza del sempre più potente Regno del Ponto e fu da questo inglobata nel II secolo a.C., mentre la Sofene non potè mai raggiungere una vera e propria indipendenza e riuscì a sopravvivere per breve tempo solo grazie al sostegno del Regno di Cappadocia. Diversa storia ebbe invece l’Armenia propriamente detta (la Grande Armenia) che crebbe in maniera assai rapida riuscendo a sottrarsi alla dipendenza feudale dei Seleucidi dando quindi vita ad uno stato potente e formidabile. I Seleucidi, dinastia ellenistica succeduta alla morte di Alessandro Magno, mai riuscirono ad affermarsi stabilmente nella Grande Armenia, tanto per il carattere montuoso della regione, che era un sistema di difesa naturale contro le campagne dei Greci, quanto per lo spiccato carattere iranico che, avendo posto ormai profonde radici nel popolo, si opponeva strenuamente all’influsso ellenico, che comunque, influenzò parzialmente l'arte e la cultura del tempo.
Con la riorganizzazione dell'Impero Persiano, l'Armenia fu divisa in diverse satrapie legate al punto tale con l'impero da inviare anche contingenti di truppe nell'invasione di Serse contro la Grecia del 480 a.C.
Nel 401 a.C., L’invasione di Alessandro Magno distrusse il regno persiano e diede inizio alla rapida ellenizzazione dell’intero Oriente. L’Armenia condivise le sorti delle altre regioni precedentemente assoggettate ai Persiani diventando satrapia dell’Impero Macedone venendo divisa in due regioni: la Grande Armenia o Sofene (compresa tra il medio corso dell’Eufrate e le sorgenti del Tigri e che in seguito si sarebbe ulteriormente divisa nell’Armenia propriamente detta e nella Sofene), e la Piccola Armenia o Armenia Pontica (situata tra l’Eufrate superiore e le sorgenti del Lico e dell’Alì). Il destino storico di questi tre regni armeni fu assai differente. Per la Piccola Armenia si rivelò disastrosa la vicinanza del sempre più potente Regno del Ponto e fu da questo inglobata nel II secolo a.C., mentre la Sofene non potè mai raggiungere una vera e propria indipendenza e riuscì a sopravvivere per breve tempo solo grazie al sostegno del Regno di Cappadocia. Diversa storia ebbe invece l’Armenia propriamente detta (la Grande Armenia) che crebbe in maniera assai rapida riuscendo a sottrarsi alla dipendenza feudale dei Seleucidi dando quindi vita ad uno stato potente e formidabile. I Seleucidi, dinastia ellenistica succeduta alla morte di Alessandro Magno, mai riuscirono ad affermarsi stabilmente nella Grande Armenia, tanto per il carattere montuoso della regione, che era un sistema di difesa naturale contro le campagne dei Greci, quanto per lo spiccato carattere iranico che, avendo posto ormai profonde radici nel popolo, si opponeva strenuamente all’influsso ellenico, che comunque, influenzò parzialmente l'arte e la cultura del tempo.
Il secondo Regno d'Armenia e l'arrivo di Roma
Intorno al 200 a.C., nel suo tentativo di sottomettere finalmente l'Armenia, il re seleucide Antioco III conquistò sia la Grande Armenia che la Sofene, installando i generali armeni Artassia I e Zariadres come governatori-strateghi nei rispettivi regni. Artassia fu anche il fondatore della capitale armena Artaxata grazie all'aiuto del generale cartaginese Annibale che ottenne rifugio nel suo esilio dai Romani. Quando i Romani distrussero il regno seleucide con la sconfitta di Antioco nella battaglia di Magnesia nel 190 a.C., i due re, con il consenso di Roma, si dichiararono indipendenti e i rispettivi discendenti governarono due regni fino all'unificazione nella Grande Armenia da Tigrane il Grande, un Artasside, negli anni '80 a.C.
Secondo Strabone, durante il periodo Seleucide la polietnica popolazione dell’Armenia cominciò a parlare un’unica lingua - l’Armeno.
All'apice del suo splendore, dal 95 al 66 a.C. e sotto la guida di Tigrane II il Grande, l'Armenia maggiore si estese dal Caucaso all'attuale Turchia orientale, fino alla Siria e al Libano, dal Mar Nero al Mar Caspio e al Mediterraneo venendo soprannominata “il Regno dei Tre Mari”. Era nato il secondo impero Armeno, la cui capitale Tigranocerta ancora oggi è avviluppata da un alone di mistero non essendo l'archeologia moderna ancora in grado di ritrovarne l'esatta locazione. Nel 66 a.C., le legioni romane di Pompeo invasero l'Armenia Maggiore e Tigrane fu costretto ad arrendersi accettando di far diventare il suo regno un protettorato romano.
Una campagna dei Parti sottomise l'Armenia nel 37 d.C. che venne riconquistata dai romani dieci anni più tardi ma che venne nuovamente persa poco dopo. Sotto l'impero di Nerone, i Romani condussero un’altra campagna (55 – 63 d.C.) contro i Parti che avevano invaso l'Armenia e dopo aver conquistato la regione nel 60 ed averla persa nuovamente nel 62, Roma la conquistò definitivamente nel 63 d.C.
Con la sconfitta dei Parti nella battaglia di Rhandeia il re Partico fu obbligato a stipulare un trattato con il quale ottenne per suo fratello Tiridate il trono d'Armenia, incoronato dallo stesso Nerone, dando luogo alla dinastia degli Arsacidi d'Armenia.
Secondo Strabone, durante il periodo Seleucide la polietnica popolazione dell’Armenia cominciò a parlare un’unica lingua - l’Armeno.
All'apice del suo splendore, dal 95 al 66 a.C. e sotto la guida di Tigrane II il Grande, l'Armenia maggiore si estese dal Caucaso all'attuale Turchia orientale, fino alla Siria e al Libano, dal Mar Nero al Mar Caspio e al Mediterraneo venendo soprannominata “il Regno dei Tre Mari”. Era nato il secondo impero Armeno, la cui capitale Tigranocerta ancora oggi è avviluppata da un alone di mistero non essendo l'archeologia moderna ancora in grado di ritrovarne l'esatta locazione. Nel 66 a.C., le legioni romane di Pompeo invasero l'Armenia Maggiore e Tigrane fu costretto ad arrendersi accettando di far diventare il suo regno un protettorato romano.
Una campagna dei Parti sottomise l'Armenia nel 37 d.C. che venne riconquistata dai romani dieci anni più tardi ma che venne nuovamente persa poco dopo. Sotto l'impero di Nerone, i Romani condussero un’altra campagna (55 – 63 d.C.) contro i Parti che avevano invaso l'Armenia e dopo aver conquistato la regione nel 60 ed averla persa nuovamente nel 62, Roma la conquistò definitivamente nel 63 d.C.
Con la sconfitta dei Parti nella battaglia di Rhandeia il re Partico fu obbligato a stipulare un trattato con il quale ottenne per suo fratello Tiridate il trono d'Armenia, incoronato dallo stesso Nerone, dando luogo alla dinastia degli Arsacidi d'Armenia.
La conversione al cristianesimo
La dinastia degli Arsacidi d'Armenia (Arshakuni), governò sul regno d'Armenia dal 54 al 428 ed era legata all'omonima dinastia Partica. Due degli eventi più importanti sotto il dominio arsacide per la storia dell'Armenia furono la conversione al Cristianesimo per opera di Gregorio Illuminatore nel 301 e la creazione dell'alfabeto armeno da parte di Mesrop Mashtots nel 405.
La conversione dell'Armenia, realizzatasi agli albori del IV secolo e tradizionalmente collocata nell'anno 301, ha dato agli Armeni la coscienza di essere il primo popolo ufficialmente cristiano, ben prima che il cristianesimo fosse riconosciuto come propria religione dall'impero romano.
È soprattutto lo storico Agatangelo (storico del Re Tiridate) che, in un racconto ricco di simbolismo, si sofferma a narrare in dettaglio i fatti che la tradizione pone all'origine di tale conversione. Il racconto prende le mosse dall'incontro provvidenziale e drammatico dei due personaggi che stanno alla base degli eventi: Gregorio, figlio del Parto Anak, e il re armeno Tiridate III. All'inizio fu, in realtà, uno scontro: a Gregorio, infatti, il re chiese di fare sacrifici alla dea Anahit, ma egli si oppose con un netto rifiuto professando la sua fede nel Dio dei Cristiani. Narra la leggenda che, sottoposto per questa scelta a crudeli torture, Gregorio, assistito dalla potenza di Dio, non si piegò. Vista questa sua irriducibile costanza nella confessione cristiana, il re lo fece gettare in un pozzo profondo, un luogo angusto e buio infestato da serpenti, dove nessuno in precedenza era sopravvissuto. Ma Gregorio, nutrito dalla mano pietosa di una vedova, rimase per lunghi anni in quel pozzo senza soccombere. Il racconto prosegue riferendo i tentativi messi in opera nel frattempo dall'imperatore romano Diocleziano per sedurre la vergine Hripsime, la quale, per sottrarsi al pericolo, fuggì da Roma con un gruppo di compagne, cercando rifugio in Armenia. La bellezza della giovane attrasse l'attenzione del re Tiridate, che s'invaghì di lei e volle farla sua. Di fronte all'ostinato rifiuto di Hripsime, il re s'infuriò e fece perire lei e le compagne tra crudeli supplizi. Secondo la tradizione, in pena dell'orrendo delitto Tiridate fu mutato in un cinghiale selvatico, e non poté ricuperare le sembianze umane, se non quando, ubbidendo a un'indicazione del Cielo, liberò Gregorio dal pozzo nel quale era stato imprigionato per tredici lunghi anni. Ottenuto il prodigio del ritorno a sembianze umane per le preghiere del Santo, Tiridate decise di convertirsi insieme con la famiglia e l'esercito e di operare per l'evangelizzazione dell'intero Paese. Fu così che gli Armeni vennero battezzati e che il cristianesimo si impose come religione ufficiale della Nazione. Gregorio, che nel frattempo aveva ricevuto a Cesarea l'ordinazione episcopale, e Tiridate percorsero il Paese, distruggendo i luoghi di culto degli idoli e costruendo templi cristiani. In seguito ad una visione di Gregorio di Gesù Cristo, venne costruita una chiesa nel villaggio di Vagharshapat, che dal prodigioso evento prese il nome di Etchmiadzin, cioè luogo dove «l'Unigenito discese». I sacerdoti pagani furono istruiti nella nuova religione e divennero i ministri del nuovo culto, mentre i loro figli costituirono il nerbo del clero e del successivo monachesimo. Gregorio si ritirò ben presto a vita eremitica nel deserto, ed il figlio più giovane Aristakes venne ordinato Vescovo e fatto capo della Chiesa armena partecipando in tale veste al Concilio di Nicea.
Che si creda o meno a questa versione della conversione dell’Armenia al Cristianesimo un fatto resta incontrovertibile: la conversione al Cristianesimo nel 301 e la codificazione dell'alfabeto armeno un secolo più tardi, ad opera di Mesrop Mashtots nel 404, saranno i due punti di riferimento costanti che salveranno nel corso dei secoli l'identità e la cultura di questo popolo nonostante le vicissitudini storiche avverse.
La conversione dell'Armenia, realizzatasi agli albori del IV secolo e tradizionalmente collocata nell'anno 301, ha dato agli Armeni la coscienza di essere il primo popolo ufficialmente cristiano, ben prima che il cristianesimo fosse riconosciuto come propria religione dall'impero romano.
È soprattutto lo storico Agatangelo (storico del Re Tiridate) che, in un racconto ricco di simbolismo, si sofferma a narrare in dettaglio i fatti che la tradizione pone all'origine di tale conversione. Il racconto prende le mosse dall'incontro provvidenziale e drammatico dei due personaggi che stanno alla base degli eventi: Gregorio, figlio del Parto Anak, e il re armeno Tiridate III. All'inizio fu, in realtà, uno scontro: a Gregorio, infatti, il re chiese di fare sacrifici alla dea Anahit, ma egli si oppose con un netto rifiuto professando la sua fede nel Dio dei Cristiani. Narra la leggenda che, sottoposto per questa scelta a crudeli torture, Gregorio, assistito dalla potenza di Dio, non si piegò. Vista questa sua irriducibile costanza nella confessione cristiana, il re lo fece gettare in un pozzo profondo, un luogo angusto e buio infestato da serpenti, dove nessuno in precedenza era sopravvissuto. Ma Gregorio, nutrito dalla mano pietosa di una vedova, rimase per lunghi anni in quel pozzo senza soccombere. Il racconto prosegue riferendo i tentativi messi in opera nel frattempo dall'imperatore romano Diocleziano per sedurre la vergine Hripsime, la quale, per sottrarsi al pericolo, fuggì da Roma con un gruppo di compagne, cercando rifugio in Armenia. La bellezza della giovane attrasse l'attenzione del re Tiridate, che s'invaghì di lei e volle farla sua. Di fronte all'ostinato rifiuto di Hripsime, il re s'infuriò e fece perire lei e le compagne tra crudeli supplizi. Secondo la tradizione, in pena dell'orrendo delitto Tiridate fu mutato in un cinghiale selvatico, e non poté ricuperare le sembianze umane, se non quando, ubbidendo a un'indicazione del Cielo, liberò Gregorio dal pozzo nel quale era stato imprigionato per tredici lunghi anni. Ottenuto il prodigio del ritorno a sembianze umane per le preghiere del Santo, Tiridate decise di convertirsi insieme con la famiglia e l'esercito e di operare per l'evangelizzazione dell'intero Paese. Fu così che gli Armeni vennero battezzati e che il cristianesimo si impose come religione ufficiale della Nazione. Gregorio, che nel frattempo aveva ricevuto a Cesarea l'ordinazione episcopale, e Tiridate percorsero il Paese, distruggendo i luoghi di culto degli idoli e costruendo templi cristiani. In seguito ad una visione di Gregorio di Gesù Cristo, venne costruita una chiesa nel villaggio di Vagharshapat, che dal prodigioso evento prese il nome di Etchmiadzin, cioè luogo dove «l'Unigenito discese». I sacerdoti pagani furono istruiti nella nuova religione e divennero i ministri del nuovo culto, mentre i loro figli costituirono il nerbo del clero e del successivo monachesimo. Gregorio si ritirò ben presto a vita eremitica nel deserto, ed il figlio più giovane Aristakes venne ordinato Vescovo e fatto capo della Chiesa armena partecipando in tale veste al Concilio di Nicea.
Che si creda o meno a questa versione della conversione dell’Armenia al Cristianesimo un fatto resta incontrovertibile: la conversione al Cristianesimo nel 301 e la codificazione dell'alfabeto armeno un secolo più tardi, ad opera di Mesrop Mashtots nel 404, saranno i due punti di riferimento costanti che salveranno nel corso dei secoli l'identità e la cultura di questo popolo nonostante le vicissitudini storiche avverse.
Il dominio bizantino, arabo e selgiuchide
Nel 591, il grande guerriero e imperatore bizantino Maurizio sconfisse i Persiani e portò gran parte del territorio armeno all'interno dell'Impero. La conquista fu completata successivamente dall'Imperatore Eraclio nel 629, ma, nel 645, gli Arabi Musulmani del Califfato attaccarono la regione conquistandola. Così l'Armenia, che un tempo aveva i suoi regnanti ed era stata sotto Persiani e Bizantini, passò sotto il dominio dei Califfi. Come Emirato di Armenia (Arminiyya), la regione era governata da un principe, riconosciuto anche da Bisanzio, che aveva sede a Dvin, non lontano da Yerevan (dinastia Bagratuni o Bagratidi). A partire da questa data iniziarono le pressioni per convincere il popolo a convertirsi all'Islam, ma venne poi raggiunto un accordo che permetteva agli armeni di continuare a professare il Cristianesimo.
Nell'884 i principi armeni si ripresero la loro indipendenza, che difesero fino al 1045, quando furono nuovamente sottomessi da Bisanzio. In questo periodo l'Armenia visse un rinascimento culturale, politico ed economico. Venne fondata una nuova capitale, Ani, la quale si dice fosse popolata da circa 200.000 abitanti, in un periodo in cui le capitali europee non arrivavano a 20.000 abitanti. Con la costruzione di Ani, soprannominata la città della quaranta porte e delle 101 chiese, l'Armenia divenne una popolosa e prosperosa nazione che ebbe influenza politica sulle nazioni vicine. Tuttavia, il sistema feudale indebolì gradualmente il paese erodendo il sentimento di lealtà nei confronti del governo centrale.
Nel 1071, dopo la sconfitta di Bisanzio da parte dei Turchi Selgiuchidi guidati da Alp Arslan nella Battaglia di Manzikert, l'Armenia Maggiore venne conquistata. Per fuggire dalla morte o dalla schiavitù, migliaia di famiglie lasciarono l'Armenia e si insediarono in terre straniere, come la Cilicia, la Polonia, ecc.; fra questi anche Rupen, parente di Gagik II, ultimo re di Ani, fuggì, insieme a parte del popolo, fra le gole delle Montagne del Tauro e da lì in Cilicia.
Nell'884 i principi armeni si ripresero la loro indipendenza, che difesero fino al 1045, quando furono nuovamente sottomessi da Bisanzio. In questo periodo l'Armenia visse un rinascimento culturale, politico ed economico. Venne fondata una nuova capitale, Ani, la quale si dice fosse popolata da circa 200.000 abitanti, in un periodo in cui le capitali europee non arrivavano a 20.000 abitanti. Con la costruzione di Ani, soprannominata la città della quaranta porte e delle 101 chiese, l'Armenia divenne una popolosa e prosperosa nazione che ebbe influenza politica sulle nazioni vicine. Tuttavia, il sistema feudale indebolì gradualmente il paese erodendo il sentimento di lealtà nei confronti del governo centrale.
Nel 1071, dopo la sconfitta di Bisanzio da parte dei Turchi Selgiuchidi guidati da Alp Arslan nella Battaglia di Manzikert, l'Armenia Maggiore venne conquistata. Per fuggire dalla morte o dalla schiavitù, migliaia di famiglie lasciarono l'Armenia e si insediarono in terre straniere, come la Cilicia, la Polonia, ecc.; fra questi anche Rupen, parente di Gagik II, ultimo re di Ani, fuggì, insieme a parte del popolo, fra le gole delle Montagne del Tauro e da lì in Cilicia.
Il Regno di Cilicia e la fine dell'indipendenza armena
Rupen, arrivato sul golfo di Alessandretta nel Mar Mediterraneo, fondò nel 1080 il regno di Cilicia (noto anche come Armenia Minore o Piccola Armenia) iniziando la dinastia Rupenide, un ramo collaterale della dinastia Bagratide, facendo di Sis la capitale del regno. Questo regno cristiano non avrebbe però avuto vita facile: chiuso in mezzo a molti stati musulmani e ostile ai Bizantini, malgrado le pressioni ai confini, riuscì ad intrattenere ugualmente rapporti d'affari con le grandi città marinare italiane fiorendo e prosperando per circa trecento anni. Pisa, Genova e Venezia stabilirono colonie sulla costa del regno e Marco Polo partì per il suo viaggio in Cina da Laiazzo, una colonia veneziana nel regno di Cilicia, nel 1271.
Alla fine del XIV secolo la Cilicia venne invasa dai Mamelucchi che conquistarono la capitale Sis nel 1375 sentenziando di fatto la fine del regno. L’ultimo re, Leone VI, fuggì in esilio a Parigi dove morì nel 1393 dopo aver tentato inutilmente di promuovere un’altra Crociata.
Così terminò l’ultima entità politica armena pienamente indipendente. Da questo momento in poi, l’Armenia come stato sovrano non sarebbe esistito più per almeno sei secoli soggiacendo a questa o a quell’altra dominazione straniera.
Alla fine del XIV secolo la Cilicia venne invasa dai Mamelucchi che conquistarono la capitale Sis nel 1375 sentenziando di fatto la fine del regno. L’ultimo re, Leone VI, fuggì in esilio a Parigi dove morì nel 1393 dopo aver tentato inutilmente di promuovere un’altra Crociata.
Così terminò l’ultima entità politica armena pienamente indipendente. Da questo momento in poi, l’Armenia come stato sovrano non sarebbe esistito più per almeno sei secoli soggiacendo a questa o a quell’altra dominazione straniera.
L'arrivo di Tamerlano e la dominazione ottomana e persiana
L’epoca che dal crollo del regno di Cilicia va fino al tramonto del secolo XVII segna il periodo di impoverimento e decadenza della cultura armena.
Verso la fine del XIV secolo nell’Anatolia Centrale e Orientale si impose Tamerlano che avanzò fino ad Ankara, tuttavia il suo impero si disgregò presto dopo la sua morte.
La seconda metà del XV secolo registrò, da una parte, l’ascesa del potere ottomano nell’Anatolia centrale e, dall'altra, l'affermazione in Persia della dinastia dei Safavidi. Per più di cent’anni questi due imperi si contesero il dominio dell’Anatolia orientale e delle regioni caucasiche. La lotta terminò con la decisiva vittoria degli Ottomani, che nel 1585 riuscirono ad annettere le parti orientali dell’Armenia fino al Caucaso.
Nelle prime decadi del XVII secolo lo Shah Abbas I, fallito il suo tentativo di cacciare gli ottomani dal territorio armeno, durante il ritiro costrinse alla migrazione oltre 150.000 armeni della città di Jolfa sulle rive dell’Arax insediandoli a Esfahan, dove gli immigrati fondarono la città di Nuova Giulfa, floridissimo centro culturale e commerciale per tutto il ‘600 e parte del ‘700, il cui raggio di attività economiche si estese dall’India, all’Italia fino alla Gran Bretagna. La rivalità tra persiani e ottomani si risolse definitivamente nel 1736 quando i persiani sconfissero gli ottomani e conquistarono tutta la Transcaucasia meridionale inclusa l’Armenia orientale.
L’Armenia persiana dalla metà del 18° sec. cominciò a passare nelle mani dei Russi grazie alle cessioni sancite nei trattati di Gulistan (1813) e Turkmenchay (1828) e da questo momento in poi quelle parti di territorio armeno seguirono le sorti dell’Impero russo sino alla rivoluzione entrando poi a far parte dell’URSS. La parte dell’Armenia rimasta sotto il dominio dell’Impero Ottomano, deluse le speranze di raggiungere indipendenza e libertà civili, passò all’azione rivoluzionaria, con la creazione verso la fine dell’ottocento di comitati rivoluzionari sul modello di quelli nichilisti russi; il sultano Abdul-Ḥamid rispose con una feroce repressione e nell’agosto-settembre 1894 si ebbe il primo massacro di Armeni, cui seguì la strage del 1895-96. Tra il 1894 e il 1896 vennero uccisi dai due ai trecentomila armeni ad opera degli Hamidiés (battaglioni curdi appositamente costituiti dal sultano). Fu questo l'inizio di una serie di massacri che sarebbe durato, in maniera più o meno forte, per trent'anni sotto tre regimi turchi diversi.
Verso la fine del XIV secolo nell’Anatolia Centrale e Orientale si impose Tamerlano che avanzò fino ad Ankara, tuttavia il suo impero si disgregò presto dopo la sua morte.
La seconda metà del XV secolo registrò, da una parte, l’ascesa del potere ottomano nell’Anatolia centrale e, dall'altra, l'affermazione in Persia della dinastia dei Safavidi. Per più di cent’anni questi due imperi si contesero il dominio dell’Anatolia orientale e delle regioni caucasiche. La lotta terminò con la decisiva vittoria degli Ottomani, che nel 1585 riuscirono ad annettere le parti orientali dell’Armenia fino al Caucaso.
Nelle prime decadi del XVII secolo lo Shah Abbas I, fallito il suo tentativo di cacciare gli ottomani dal territorio armeno, durante il ritiro costrinse alla migrazione oltre 150.000 armeni della città di Jolfa sulle rive dell’Arax insediandoli a Esfahan, dove gli immigrati fondarono la città di Nuova Giulfa, floridissimo centro culturale e commerciale per tutto il ‘600 e parte del ‘700, il cui raggio di attività economiche si estese dall’India, all’Italia fino alla Gran Bretagna. La rivalità tra persiani e ottomani si risolse definitivamente nel 1736 quando i persiani sconfissero gli ottomani e conquistarono tutta la Transcaucasia meridionale inclusa l’Armenia orientale.
L’Armenia persiana dalla metà del 18° sec. cominciò a passare nelle mani dei Russi grazie alle cessioni sancite nei trattati di Gulistan (1813) e Turkmenchay (1828) e da questo momento in poi quelle parti di territorio armeno seguirono le sorti dell’Impero russo sino alla rivoluzione entrando poi a far parte dell’URSS. La parte dell’Armenia rimasta sotto il dominio dell’Impero Ottomano, deluse le speranze di raggiungere indipendenza e libertà civili, passò all’azione rivoluzionaria, con la creazione verso la fine dell’ottocento di comitati rivoluzionari sul modello di quelli nichilisti russi; il sultano Abdul-Ḥamid rispose con una feroce repressione e nell’agosto-settembre 1894 si ebbe il primo massacro di Armeni, cui seguì la strage del 1895-96. Tra il 1894 e il 1896 vennero uccisi dai due ai trecentomila armeni ad opera degli Hamidiés (battaglioni curdi appositamente costituiti dal sultano). Fu questo l'inizio di una serie di massacri che sarebbe durato, in maniera più o meno forte, per trent'anni sotto tre regimi turchi diversi.
Il Metz Yeghern, il genocidio armeno
Con l’ascesa al potere del partito "Unione e Progresso" la situazione degli Armeni di Turchia continuò a peggiorare: i "giovani turchi" infatti cominciarono a propugnare l’ideale della supremazia della razza turca nei territori dell’Impero ottomano. Imbevuti delle dottrine socialiste e marxiste studiate in Europa, i "Giovani Turchi" interpretarono a loro modo l'idea di uguaglianza: per essere tutti uguali bisogna essere tutti ottomani e per essere tutti ottomani bisogna essere tutti turchi e musulmani. Al popolo turco, deluso dalla perdita dei possedimenti Ottomani in Europa, il partito aveva indicato quale unica possibilità di espansione il Panturchismo, ossia il ricongiungimento dei popoli di etnia turca che vivono nell'Asia centrale (Tartari, Kazaki, Uzbechi ecc.) per dare vita ad un entità panturca che potesse andare dal Bosforo alla Cina. Gli ostacoli che si frapponevano a queste mire erano costituite dalle minoranze armene, cristiane indoeuropee e curde. Era loro convinzione che i curdi però non rappresentassero un problema insormontabile di assimilazione in quanto già musulmani. Al contrario, gli armeni e i cristiani, oltre a professare una religione diversa, possedevano anche una cultura millenaria e la loro assimilazione non solo sarebbe stata difficile ma la loro stessa presenza impediva l'unificazione con le altre popolazioni di ceppo turco. L'unica soluzione era dunque quella della loro eliminazione.
I primi prodromi di questa politica si ebbero con il massacro di Adana del 1909 che causò circa 30.000 morti tra le popolazioni armene, greche e assire della Cilicia. Questo evento provocò l'indignazione del mondo e per questo, per intraprendere definitivamente la politica di annientamento, i giovani turchi decisero di aspettare un'occasione favorevole: la trovarono nello scoppio della Prima Guerra Mondiale. In tale occasione molti degli armeni stanziati nelle regioni turche disertarono in favore dell’esercito russo e questo fu il pretesto, tanto atteso, per risolvere una volta per tutte “la questione armena”.
I giovani turchi iniziarono la pulizia etnica e per gli armeni iniziò il Metz Yeghern, il “grande male”, il genocidio degli armeni.
Si calcola che dal 1915 al 1923 furono massacrate, deportate e lasciate morire nel deserto siriano circa 1 milione e mezzo di persone: il primo grande genocidio del XX secolo.
I primi prodromi di questa politica si ebbero con il massacro di Adana del 1909 che causò circa 30.000 morti tra le popolazioni armene, greche e assire della Cilicia. Questo evento provocò l'indignazione del mondo e per questo, per intraprendere definitivamente la politica di annientamento, i giovani turchi decisero di aspettare un'occasione favorevole: la trovarono nello scoppio della Prima Guerra Mondiale. In tale occasione molti degli armeni stanziati nelle regioni turche disertarono in favore dell’esercito russo e questo fu il pretesto, tanto atteso, per risolvere una volta per tutte “la questione armena”.
I giovani turchi iniziarono la pulizia etnica e per gli armeni iniziò il Metz Yeghern, il “grande male”, il genocidio degli armeni.
Si calcola che dal 1915 al 1923 furono massacrate, deportate e lasciate morire nel deserto siriano circa 1 milione e mezzo di persone: il primo grande genocidio del XX secolo.
La Prima Repubblica d'Armenia e la fine della Prima Guerra Mondiale
Approfittando del periodo di caos politico e militare prodotto dalla rivoluzione russa, il Caucaso dichiarò la propria indipendenza formando la Repubblica Federativa Transcaucasica, uno Stato che ebbe breve esistenza e che comprendeva gli stati moderni dell'Armenia, Azerbaigian, e Georgia e alcuni territori oggi parte della Turchia. Il progressivo disimpegno della Russia dal conflitto, causato dalla rivoluzione comunista, diede l’occasione all’Impero Ottomano di invadere i territori armeni della neonata Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, perdendo però i primi due scontri contro gli Armeni nella Battaglia di Sardarapat e nella Battaglia di Abaran. Sotto le pressioni dell’invasione la giovane repubblica non riuscì a mantenere la sua integrità, anche a causa dello scoppio di conflitti interni con gli azeri musulmani che non volevano imbarcarsi in una guerra contro altri musulmani in favore degli Armeni. La repubblica si divise il 28 Maggio 1918 in tre diversi stati: la Repubblica Democratica di Armenia, la Repubblica Democratica di Georgia e la Repubblica Democratica di Azerbaigian.
Il 4 giugno 1918 con il Trattato di Batumi la nuova repubblica armena si arrese all'Impero Ottomano, ma una parte degli insorti armeni si arroccò nella Repubblica dell'Armenia montanara (l'attuale territorio comprendente le regioni del Karabakh, del Syunik e del Nakhchivan), continuando così la guerra contro gli Ottomani e contro la Repubblica Democratica di Azerbaigian.
Al termine della guerra, le potenze alleate, col Trattato di Sèvres del 1920, imposero alla Turchia la concessione dell’indipendenza agli Armeni e la cessione dei territori dell'Armenia Ottomana. Tuttavia, il trattato fu respinto dal movimento nazionale turco guidato dal generale Mustafa Kemal (che sarebbe poi diventato Ataturk), che rovesciò il sultanato ottomano proclamando una repubblica nazionale laica con capitale Ankara.
Il 24 settembre dello stesso anno, approfittando della guerra dell’Armenia contro l’Azerbaijan, la Turchia, con il supporto della Russia, iniziò la cosiddetta guerra turco-armena che si concluse con il Trattato di Alexandropol (2 dicembre 1920), l'odierna Gyumri, che sancì la vittoria turca e l'annullamento delle concessioni di Sèvres.
Il 29 novembre 1920, l'Undicesima Armata Sovietica entrò in Armenia e il 4 dicembre occupò Yerevan, ponendo fine alla Repubblica Democratica d'Armenia. Era iniziato di fatto un dominio che sarebbe durato fino alle soglie del secondo Millennio.
Il 4 giugno 1918 con il Trattato di Batumi la nuova repubblica armena si arrese all'Impero Ottomano, ma una parte degli insorti armeni si arroccò nella Repubblica dell'Armenia montanara (l'attuale territorio comprendente le regioni del Karabakh, del Syunik e del Nakhchivan), continuando così la guerra contro gli Ottomani e contro la Repubblica Democratica di Azerbaigian.
Al termine della guerra, le potenze alleate, col Trattato di Sèvres del 1920, imposero alla Turchia la concessione dell’indipendenza agli Armeni e la cessione dei territori dell'Armenia Ottomana. Tuttavia, il trattato fu respinto dal movimento nazionale turco guidato dal generale Mustafa Kemal (che sarebbe poi diventato Ataturk), che rovesciò il sultanato ottomano proclamando una repubblica nazionale laica con capitale Ankara.
Il 24 settembre dello stesso anno, approfittando della guerra dell’Armenia contro l’Azerbaijan, la Turchia, con il supporto della Russia, iniziò la cosiddetta guerra turco-armena che si concluse con il Trattato di Alexandropol (2 dicembre 1920), l'odierna Gyumri, che sancì la vittoria turca e l'annullamento delle concessioni di Sèvres.
Il 29 novembre 1920, l'Undicesima Armata Sovietica entrò in Armenia e il 4 dicembre occupò Yerevan, ponendo fine alla Repubblica Democratica d'Armenia. Era iniziato di fatto un dominio che sarebbe durato fino alle soglie del secondo Millennio.
Il dominio sovietico
L'Armenia fu incorporata nell'Unione Sovietica il 4 marzo 1922 come parte della Repubblica Socialista Sovietica Federativa Transcaucasica, che comprendeva anche Georgia e Azerbaijan. Subito dopo, il Trattato di Alessandropoli fu sostituito dal Trattato di Kars (11 settembre 1922) in cui la Turchia cedeva alla Russia il porto di Batumi in cambio delle città di Kars, Ardahan e Igdir con la conseguenza che il monte più sacro per gli Armeni, l'Ararat, passava in territorio turco.
L'Armenia sovietica beneficiò ampiamente del sistema economico comunista, che trasformò un’economia prevalentemente agricola in un’economia industriale: i villaggi si trasformarono in città e Yerevan venne completamente ridisegnata nel 1924. Nel 1936, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica della Transcaucasia fu sciolta e l'Armenia, l'Azerbaigian e la Georgia divennero repubbliche indipendenti dell’URSS; fu in questa fase che il Nagorno-Karabakh venne assegnato da Stalin all’Azerbaijan ponendo le basi per la guerra degli anno '90.
Il 24 aprile 1965, migliaia di armeni protestarono per le strade di Yerevan durante il cinquantesimo anniversario del genocidio armeno chiedendone il riconoscimento al governo, ma le truppe sovietiche entrarono in città e ristabilirono l'ordine. Per evitare ulteriori proteste, il Cremlino accettò di erigere un monumento in onore di coloro che avevano perso la vita durante questa atrocità. Fu quindi costruito nel 1967 un monumento commemorativo, su progetto degli architetti Kalashian e Mkrtchyan a Yerevan, composto da una stele di 44 metri che simboleggia la rinascita nazionale degli armeni e da dodici monoliti disposti in cerchio a rappresentare le dodici province perse e ricadenti in territorio turco. Nel centro del cerchio una fiamma perpetua brucia a ricordo dei morti, mentre, lungo il percorso che conduce al monumento, un muro commemorativo lungo 100 metri ricorda i nomi dei villaggi dove i massacri sono avvenuti.
Il 7 dicembre 1988 la zona settentrionale della RSS Armena venne colpita da un violento terremoto che causò decine di migliaia di vittime, feriti e sfollati. Risultarono gravemente danneggiati i centri di Spitak, Leninakan (oggi Gyumri), Kirovakan (oggi Vanadzor), oltre a decine di piccoli villaggi spesso isolati e lontani dalle principali vie di comunicazione. A seguito del violento terremoto, e nonostante le tensioni della Guerra fredda, l'allora leader sovietico Mikhail Gorbaciov chiese formalmente all'Occidente aiuto umanitario, la prima richiesta del genere dalla fine degli anni '40. Centotredici paesi inviarono ingenti aiuti umanitari all'Unione Sovietica sotto forma di attrezzature di soccorso, squadre di ricerca e forniture mediche.
L'Armenia sovietica beneficiò ampiamente del sistema economico comunista, che trasformò un’economia prevalentemente agricola in un’economia industriale: i villaggi si trasformarono in città e Yerevan venne completamente ridisegnata nel 1924. Nel 1936, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica della Transcaucasia fu sciolta e l'Armenia, l'Azerbaigian e la Georgia divennero repubbliche indipendenti dell’URSS; fu in questa fase che il Nagorno-Karabakh venne assegnato da Stalin all’Azerbaijan ponendo le basi per la guerra degli anno '90.
Il 24 aprile 1965, migliaia di armeni protestarono per le strade di Yerevan durante il cinquantesimo anniversario del genocidio armeno chiedendone il riconoscimento al governo, ma le truppe sovietiche entrarono in città e ristabilirono l'ordine. Per evitare ulteriori proteste, il Cremlino accettò di erigere un monumento in onore di coloro che avevano perso la vita durante questa atrocità. Fu quindi costruito nel 1967 un monumento commemorativo, su progetto degli architetti Kalashian e Mkrtchyan a Yerevan, composto da una stele di 44 metri che simboleggia la rinascita nazionale degli armeni e da dodici monoliti disposti in cerchio a rappresentare le dodici province perse e ricadenti in territorio turco. Nel centro del cerchio una fiamma perpetua brucia a ricordo dei morti, mentre, lungo il percorso che conduce al monumento, un muro commemorativo lungo 100 metri ricorda i nomi dei villaggi dove i massacri sono avvenuti.
Il 7 dicembre 1988 la zona settentrionale della RSS Armena venne colpita da un violento terremoto che causò decine di migliaia di vittime, feriti e sfollati. Risultarono gravemente danneggiati i centri di Spitak, Leninakan (oggi Gyumri), Kirovakan (oggi Vanadzor), oltre a decine di piccoli villaggi spesso isolati e lontani dalle principali vie di comunicazione. A seguito del violento terremoto, e nonostante le tensioni della Guerra fredda, l'allora leader sovietico Mikhail Gorbaciov chiese formalmente all'Occidente aiuto umanitario, la prima richiesta del genere dalla fine degli anni '40. Centotredici paesi inviarono ingenti aiuti umanitari all'Unione Sovietica sotto forma di attrezzature di soccorso, squadre di ricerca e forniture mediche.
L’indipendenza e la guerra per il Nagorno Karabakh
Il 23 agosto del 1990, un anno prima del crollo dell'Unione Sovietica, l'Armenia dichiarò la sua indipendenza che non venne però ufficialmente riconosciuta fino al 21 settembre del 1991, giorno in cui fu proclamata la nuova Repubblica di Armenia.
Sul fronte della politica estera, le tensioni tra l'Armenia e l'Azerbaigian continuarono a crescere per via del territorio del Nagorno-Karabakh e i primi scontri iniziarono già nel 1988, a causa delle rivendicazioni irredentiste del Nagorno Karabakh, la cui popolazione era costituita per i tre quarti da armeni.
All'indomani dell'indipendenza dei due Paesi, la tensione sfociò nel 1991 in una guerra scatenata dal voto del parlamento del Nagorno Karabakh che, facendo leva su una legge sovietica allora vigente, dichiarò la nascita della Repubblica del Nagorno Karabakh. In base a tale legge del 3 aprile 1990, se all'interno di una repubblica sovietica che decideva il distacco dall'Unione vi era una regione autonoma (oblast), questa aveva diritto di scegliere attraverso una libera manifestazione di volontà popolare se seguire o meno la repubblica secessionista nel suo distacco dall'Urss. Il 30 agosto 1991, l'Azerbaigian decise di lasciare l'Unione Sovietica e diede vita alla Repubblica di Azerbaigian e il 2 settembre il soviet del Nagorno Karabakh decise di non seguire l'Azerbaigian votando per la costituzione di una nuova entità statale autonoma. Il 10 dicembre 1991 la neonata repubblica del Nagorno Karabakh votò il referendum confermativo che venne approvato con il 98% delle preferenze (la comunità azera decise di boicottarlo) e al quale fecero seguito le elezioni politiche per il nuovo parlamento. Il 6 gennaio 1992 venne ufficialmente proclamata la repubblica e il 31 gennaio l'Azerbaijan lanciò l'offensiva contro la regione separatista. La guerra aperta si concluse con gli accordi per il cessate il fuoco firmati a Bishkek (Kirgizistan) il 5 maggio 1994 che sancivano la vittoria sul campo dell'Armenia. La guerra si concluse con circa 30.000 morti e 80.000 feriti oltre a diverse centinaia di migliaia di profughi che da una parte e dall'altra dovettero abbandonare le proprie case (circa quattrocentomila armeni residenti nell'Azerbaigian e circa cinquecentomila azeri residenti in Armenia, Nagorno Karabakh e territori limitrofi). Al termine del conflitto la Repubblica del Nagorno Karabakh acquisiva sette regioni limitrofe amministrate precedentemente dall'Azerbaigian (al di fuori dell'oblast originario del Nagorno Karabakh) conquistate durante il conflitto.
Dalla fine della guerra, per quasi trent'anni, il Nagorno-Karabakh si consolidò come repubblica de facto non riconosciuta dalla comunità internazionale con un proprio presidente, un proprio governo, proprie leggi e una propria moneta ma totalmente dipendente dall'Armenia che ne garantiva la sicurezza e l'economia.
In seguito dello scoppio della guerra del Karabakh, la Turchia e l'Azerbaijan applicavano un embargo sull'ottanta percento dei confini della neonata Repubblica d'Armenia.
Sul fronte della politica estera, le tensioni tra l'Armenia e l'Azerbaigian continuarono a crescere per via del territorio del Nagorno-Karabakh e i primi scontri iniziarono già nel 1988, a causa delle rivendicazioni irredentiste del Nagorno Karabakh, la cui popolazione era costituita per i tre quarti da armeni.
All'indomani dell'indipendenza dei due Paesi, la tensione sfociò nel 1991 in una guerra scatenata dal voto del parlamento del Nagorno Karabakh che, facendo leva su una legge sovietica allora vigente, dichiarò la nascita della Repubblica del Nagorno Karabakh. In base a tale legge del 3 aprile 1990, se all'interno di una repubblica sovietica che decideva il distacco dall'Unione vi era una regione autonoma (oblast), questa aveva diritto di scegliere attraverso una libera manifestazione di volontà popolare se seguire o meno la repubblica secessionista nel suo distacco dall'Urss. Il 30 agosto 1991, l'Azerbaigian decise di lasciare l'Unione Sovietica e diede vita alla Repubblica di Azerbaigian e il 2 settembre il soviet del Nagorno Karabakh decise di non seguire l'Azerbaigian votando per la costituzione di una nuova entità statale autonoma. Il 10 dicembre 1991 la neonata repubblica del Nagorno Karabakh votò il referendum confermativo che venne approvato con il 98% delle preferenze (la comunità azera decise di boicottarlo) e al quale fecero seguito le elezioni politiche per il nuovo parlamento. Il 6 gennaio 1992 venne ufficialmente proclamata la repubblica e il 31 gennaio l'Azerbaijan lanciò l'offensiva contro la regione separatista. La guerra aperta si concluse con gli accordi per il cessate il fuoco firmati a Bishkek (Kirgizistan) il 5 maggio 1994 che sancivano la vittoria sul campo dell'Armenia. La guerra si concluse con circa 30.000 morti e 80.000 feriti oltre a diverse centinaia di migliaia di profughi che da una parte e dall'altra dovettero abbandonare le proprie case (circa quattrocentomila armeni residenti nell'Azerbaigian e circa cinquecentomila azeri residenti in Armenia, Nagorno Karabakh e territori limitrofi). Al termine del conflitto la Repubblica del Nagorno Karabakh acquisiva sette regioni limitrofe amministrate precedentemente dall'Azerbaigian (al di fuori dell'oblast originario del Nagorno Karabakh) conquistate durante il conflitto.
Dalla fine della guerra, per quasi trent'anni, il Nagorno-Karabakh si consolidò come repubblica de facto non riconosciuta dalla comunità internazionale con un proprio presidente, un proprio governo, proprie leggi e una propria moneta ma totalmente dipendente dall'Armenia che ne garantiva la sicurezza e l'economia.
In seguito dello scoppio della guerra del Karabakh, la Turchia e l'Azerbaijan applicavano un embargo sull'ottanta percento dei confini della neonata Repubblica d'Armenia.
L'Armenia prima e dopo la rivoluzione di velluto
Secondo la prima costituzione, l'Armenia era una repubblica semi-presidenziale in cui il presidente della Repubblica era eletto direttamente dal popolo, potendo rimanere in carica per un massimo di due mandati della durata ciascuno di cinque anni. Per 27 anni, l'Armenia venne governata da un unico blocco politico, il Partito Repubblicano che, ricorrendo puntualmente a ogni elezione a brogli elettorali, perpetuava il suo dominio sul Paese instaurando un'oligarchia di imprenditori legati al governo che godevano del monopolio su tutte le forme lucrative dell'economia armena. Nel 2012-2017 la fiducia nel governo nazionale (25%) e nel sistema giudiziario (29%) in Armenia erano inferiori a tutti i paesi vicini.
Nel 2015 venne votato un referendum costituzionale col quale l'Armenia diventava Repubblica Parlamentare nella quale il capo del governo diventava il Primo Ministro (eletto dall'assemblea parlamentare) e il Presidente della Repubblica diventava garante della costituzione del Paese. Gli oppositori della nuova costituzione sostenevano che il referendum fosse il modo in cui l'allora presidente Serzh Sargsyan, in carica dal 2007 e giunto ormai alla fine del suo secondo mandato, cercasse di rimanere al potere. A tal proposito, Sargsyan rassicurava la popolazione che non si sarebbe presentato come candidato alla carica di Primo Ministro. Le modifiche costituzionali del referendum sarebbero entrate in forza allo scadere della legislatura con il ciclo elettorale 2017-18. Il referendum passò con il 66,2% dei voti a favore e superando il quorum del 33% della popolazione, ma la European Platform for Democratic Elections segnalava "un numero senza precedenti di violazioni" nelle operazioni di voto.
Piccole manifestazioni e proteste iniziarono nel marzo 2018, quando i membri del Partito Repubblicano al potere non escludevano l'opzione di nominare Serzh Sargsyan alla carica di primo ministro, sconfessando quanto assicurato dallo stesso Sargsyan in precedenza ma, dopo l'elezione di Sargsyan a nuovo primo ministro, le proteste esplosero e, nonostante centinaia di persone fossero arrestate dalla polizia, le manifestazioni a Yerevan raggiunsero le oltre 50.000 persone la notte del 21 aprile, con innumerevoli sporadiche chiusure di strade nella capitale, che iniziarono successivamente a diffondersi in tutto il Paese ed erano guidate da Nikol Pashinyan, un ex giornalista che era stato incarcerato per aver preso parte alle proteste del 2007 in occasione della prima elezione di Sargsyan.
Con l'aumentare della folla e delle proteste, il nuovo primo ministro chiamò per colloqui Pashinyan che accettò di incontrare Sargsyan alle 10 del mattino del 22 aprile, dicendo che credeva che l'argomento sarebbero state le sue dimissioni.
L'incontro, trasmesso in diretta TV, durò solo tre minuti, con Sargsyan che si alzava dalla sua sedia accusando Pashinyan di ricatto e avvertendolo dicendogli di non aver "imparato la lezione del primo marzo", un riferimento ai manifestanti uccisi dalla polizia mentre contestavano la validità dei risultati elettorali dell'elezione di Sargsyan dieci anni prima: un'aperta minaccia di violenza contro i manifestanti che si radunavano ogni giorno in tutta la nazione. All'uscita dall'hotel dove si tenne l'incontro, Pashinyan venne arretato.
Le proteste a questo punto cominciarono a coinvolgere l'intero Paese e il giorno successivo sit-in di protesta in tutta l'Armenia bloccavano l'intera rete stradale paralizzando i trasporti con la partecipazione di membri delle forze armate e della polizia. Ritrovatosi solo, con la Russia che si dichiarava non interessata alle questioni interne dell'Armenia, Sargsyan rassegnava le proprie dimissioni. Gli succedette come primo ministro ad interim Karen Karapetyan.
Pashinyan venne liberato e si candidò alla carica di Primo Ministro come candidato del popolo. Il parlamento armeno era però ancora a stragrande maggioranza in mano al partito di governo e non avrebbe reso la vita facile a Pashinyan: quando infatti il primo maggio venne presentato in parlamento il suo nome come unico candidato per l'elezione alla carica di Primo Ministro, la maggioranza in mano al partito repubblicano votò contro. La nazione il giorno dopo si fermò: strade e autostrade furono pacificamente bloccate in tutta la nazione e lavoratori e imprese scioperarono. Venne interrotta la principale strada di accesso all'aeroporto, dove scioperarono addetti e controllori di volo bloccando di fatto ogni operazione: l'Armenia era paralizzata. A seguito di questa pressione da parte della popolazione (150.000 persone si erano radunate in Piazza della Repubblica quello stesso giorno) il partito al governo comunicava la decisione di sostenere la candidatura di Pashinyan a Primo Ministro e nel successivo turno di votazioni dell'8 maggio egli fu eletto alla carica.
Nuove elezioni si tennero a dicembre 2018 e videro trionfare il partito di Pashinyan con oltre il 70% delle preferenze. Il Partito Repubblicano, che aveva governato il Paese per 25 anni, non superò la soglia di sbarramento del 5%. Per la prima volta nella storia dell'Armenia indipendente, l'OSCE certificava la regolarità dello svolgimento delle elezioni avvenuto "nel rispetto delle libertà fondamentali e godendo di un'ampia fiducia pubblica che deve essere preservata attraverso ulteriori riforme elettorali. L'ambiente dei media è diversificato e la libertà di espressione, garantita dalla Costituzione, è stata rispettata".
Il nuovo governo, dal suo insediamento, ha cercato strenuamente di combattere la corruzione dilagante nel Paese, con il risultato che l'Armenia si apriva agli investimenti stranieri. Nel 2019, la Banca Mondiale certificava una crescita del PIL nazionale pari al 7,6% rispetto all'anno precedente e FreedomHouse certificava un aumento di 11 punti nel global Freedom index rispetto al 2017. Un trionfo per Pashinyan e il suo governo che di li a poco avrebbe fronteggiato l'onda d'urto della pandemia e di una nuova, disastrosa guerra.
Nel 2015 venne votato un referendum costituzionale col quale l'Armenia diventava Repubblica Parlamentare nella quale il capo del governo diventava il Primo Ministro (eletto dall'assemblea parlamentare) e il Presidente della Repubblica diventava garante della costituzione del Paese. Gli oppositori della nuova costituzione sostenevano che il referendum fosse il modo in cui l'allora presidente Serzh Sargsyan, in carica dal 2007 e giunto ormai alla fine del suo secondo mandato, cercasse di rimanere al potere. A tal proposito, Sargsyan rassicurava la popolazione che non si sarebbe presentato come candidato alla carica di Primo Ministro. Le modifiche costituzionali del referendum sarebbero entrate in forza allo scadere della legislatura con il ciclo elettorale 2017-18. Il referendum passò con il 66,2% dei voti a favore e superando il quorum del 33% della popolazione, ma la European Platform for Democratic Elections segnalava "un numero senza precedenti di violazioni" nelle operazioni di voto.
Piccole manifestazioni e proteste iniziarono nel marzo 2018, quando i membri del Partito Repubblicano al potere non escludevano l'opzione di nominare Serzh Sargsyan alla carica di primo ministro, sconfessando quanto assicurato dallo stesso Sargsyan in precedenza ma, dopo l'elezione di Sargsyan a nuovo primo ministro, le proteste esplosero e, nonostante centinaia di persone fossero arrestate dalla polizia, le manifestazioni a Yerevan raggiunsero le oltre 50.000 persone la notte del 21 aprile, con innumerevoli sporadiche chiusure di strade nella capitale, che iniziarono successivamente a diffondersi in tutto il Paese ed erano guidate da Nikol Pashinyan, un ex giornalista che era stato incarcerato per aver preso parte alle proteste del 2007 in occasione della prima elezione di Sargsyan.
Con l'aumentare della folla e delle proteste, il nuovo primo ministro chiamò per colloqui Pashinyan che accettò di incontrare Sargsyan alle 10 del mattino del 22 aprile, dicendo che credeva che l'argomento sarebbero state le sue dimissioni.
L'incontro, trasmesso in diretta TV, durò solo tre minuti, con Sargsyan che si alzava dalla sua sedia accusando Pashinyan di ricatto e avvertendolo dicendogli di non aver "imparato la lezione del primo marzo", un riferimento ai manifestanti uccisi dalla polizia mentre contestavano la validità dei risultati elettorali dell'elezione di Sargsyan dieci anni prima: un'aperta minaccia di violenza contro i manifestanti che si radunavano ogni giorno in tutta la nazione. All'uscita dall'hotel dove si tenne l'incontro, Pashinyan venne arretato.
Le proteste a questo punto cominciarono a coinvolgere l'intero Paese e il giorno successivo sit-in di protesta in tutta l'Armenia bloccavano l'intera rete stradale paralizzando i trasporti con la partecipazione di membri delle forze armate e della polizia. Ritrovatosi solo, con la Russia che si dichiarava non interessata alle questioni interne dell'Armenia, Sargsyan rassegnava le proprie dimissioni. Gli succedette come primo ministro ad interim Karen Karapetyan.
Pashinyan venne liberato e si candidò alla carica di Primo Ministro come candidato del popolo. Il parlamento armeno era però ancora a stragrande maggioranza in mano al partito di governo e non avrebbe reso la vita facile a Pashinyan: quando infatti il primo maggio venne presentato in parlamento il suo nome come unico candidato per l'elezione alla carica di Primo Ministro, la maggioranza in mano al partito repubblicano votò contro. La nazione il giorno dopo si fermò: strade e autostrade furono pacificamente bloccate in tutta la nazione e lavoratori e imprese scioperarono. Venne interrotta la principale strada di accesso all'aeroporto, dove scioperarono addetti e controllori di volo bloccando di fatto ogni operazione: l'Armenia era paralizzata. A seguito di questa pressione da parte della popolazione (150.000 persone si erano radunate in Piazza della Repubblica quello stesso giorno) il partito al governo comunicava la decisione di sostenere la candidatura di Pashinyan a Primo Ministro e nel successivo turno di votazioni dell'8 maggio egli fu eletto alla carica.
Nuove elezioni si tennero a dicembre 2018 e videro trionfare il partito di Pashinyan con oltre il 70% delle preferenze. Il Partito Repubblicano, che aveva governato il Paese per 25 anni, non superò la soglia di sbarramento del 5%. Per la prima volta nella storia dell'Armenia indipendente, l'OSCE certificava la regolarità dello svolgimento delle elezioni avvenuto "nel rispetto delle libertà fondamentali e godendo di un'ampia fiducia pubblica che deve essere preservata attraverso ulteriori riforme elettorali. L'ambiente dei media è diversificato e la libertà di espressione, garantita dalla Costituzione, è stata rispettata".
Il nuovo governo, dal suo insediamento, ha cercato strenuamente di combattere la corruzione dilagante nel Paese, con il risultato che l'Armenia si apriva agli investimenti stranieri. Nel 2019, la Banca Mondiale certificava una crescita del PIL nazionale pari al 7,6% rispetto all'anno precedente e FreedomHouse certificava un aumento di 11 punti nel global Freedom index rispetto al 2017. Un trionfo per Pashinyan e il suo governo che di li a poco avrebbe fronteggiato l'onda d'urto della pandemia e di una nuova, disastrosa guerra.
La seconda guerra per il Nagorno Karabakh
Le 08:03 del 27 settembre 2020 hanno segnato l'ultima escalation del conflitto irrisolto tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno Karabakh e dei territori limitrofi sui quali l'Azerbaijan aveva perso il controllo dal 1994 alla fine della prima guerra. Le scaramucce erano comuni da decenni lungo le linee del fronte del Nagorno-Karabakh, ma pochi si immaginavano la dimensione di quello che stava per avvenire. Quel giorno, l'esercito azero cominciò a bombardare con attacchi missilistici e aerei i paesi e le città dell'autoproclamata Repubblica di Artsakh (il nome che la Repubblica del Nagorno-Karabakh si era data a partire dal 2017), compresa la capitale Stepanakert. Anche se l'inizio dell'attacco fu contestato dalle autorità azere, che dichiararono che l'esercito stava effettuando una controffensiva dopo un attacco avvenuto alle 6:00 da parte delle forze armate armene, tale tesi fu presto smentita dai fatti, visto che che l'attività militare dell'Azerbaigian interessava l'intera linea di contatto (istituita con il cessate il fuoco del 1994) e con un tale dispiegamento di uomini e mezzi impossibili da mobilitare in così breve tempo: era chiaro che l'attacco fosse stato pianificato accuratamente nei mesi precedenti. La guerra è stata caratterizzata per la prima volta nella storia dallo spiegamento da parte azera di droni (prodotti in Turchia) che ne hanno segnato fin dai primi giorni l'esito finale: gli Armeni, mal equipaggiati e con a disposizione artiglieria e mezzi antiquati, malgrado un'orografia del territorio che dava loro un netto vantaggio, sono stati facilmente sbaragliati nell'arco di poche settimane.
Dopo tre cessate il fuoco falliti, un accordo mediato dalla Russia, firmato il 9 novembre dal Presidente azero Aliyev, il Primo Ministro armeno Pashinyan e il Presidente russo Putin, ha posto fine alla violenta guerra durata 44 giorni che ha ucciso, secondo i bollettini ufficiali diramati da entrambi i Paesi (ma le stime non ufficiali sembrerebbero molto più alte) oltre seimila persone.
L'accordo, che di fatto sancisce la totale capitolazione armena, ha consegnato all'Azerbaigian gran parte di ciò che il Paese aveva chiesto per anni nei negoziati: il ritiro dell'esercito armeno dall'area, la restituzione delle sette regioni occupate dall'Armenia durante la prima guerra (oltre il mantenimento del controllo di diversi distretti dell'oblast originario del Nagorno-Karabakh e della città di Shushi persi durante i combattimenti) e l'apertura di un corridoio di trasporto che permetterà all'Azerbaigian di collegare l'exclave azera del Nakhichevan attraverso l'Armenia. Anche l'Azerbaigian è però dovuto scendere a compromessi: l’accordo prevede la presenza militare russa nella regione per 5 anni, più ulteriori 5 se nessuna delle parti comunicherà 6 mesi prima della scadenza la propria contrarietà. Quasi 2.000 soldati russi, che operano come peacekeepers, sono ora di stanza sul territorio azero e vi rimarranno per almeno cinque anni.
Il conflitto ha anche sugellato il ruolo di primo piano di una Turchia sempre più assertiva e presente nel Caucaso: in generale, l'Azerbaigian ha vinto la guerra con il sostegno diplomatico e militare della Turchia, consolidandone la posizione come prezioso alleato non solo dello stesso Azerbaijan ma anche potenzialmente degli altri stati ex sovietici dell'Asia Centrale dove si parlano lingue turche, come il Kazakistan e l'Uzbekistan. Inoltre, funzionari militari turchi ora lavorano in un centro di comando situato ad Aghdam, in territorio azero, per il mantenimento della pace in Azerbaigian.
L'accordo ha fatto immediatamente scoppiare violente proteste in Armenia, con la popolazione che, all'annuncio del cessate il fuoco, assaltava il palazzo del governo a Yerevan esprimendo la rabbia per un accordo che vedeva l'Armenia capitolare nei confronti dell'Azerbaijan e con la folla che chiedeva le dimissioni del governo Pashinyan che lo aveva firmato. La rabbia esplodeva anche perché l'accordo del 9 novembre non diceva nulla sullo status a lungo termine del territorio del Nagorno-Karabakh. Poche settimane dopo, i profughi armeni del Nagorno-Karabakh scappati in Armenia dalla guerra, tornavano alle proprie case in autobus sorvegliati dalle forze di pace russe.
La guerra ha scavato un solco ancora più profondo solco tra le popolazioni armena e azera: il 15 novembre gli Armeni fuggivano dalla zona di Kelbajar che sarebbe ritornata entro poche settimane sotto il controllo azero e molti, prima di andare via, davano fuoco alle loro case. Vicino ad alcune delle case in fiamme c'erano rovine più antiche: i resti di case abbandonate un quarto di secolo prima, quando gli azeri fuggirono e gli armeni si trasferirono nella regione. La pace tra i due Paesi è ancora lontana.
Dopo tre cessate il fuoco falliti, un accordo mediato dalla Russia, firmato il 9 novembre dal Presidente azero Aliyev, il Primo Ministro armeno Pashinyan e il Presidente russo Putin, ha posto fine alla violenta guerra durata 44 giorni che ha ucciso, secondo i bollettini ufficiali diramati da entrambi i Paesi (ma le stime non ufficiali sembrerebbero molto più alte) oltre seimila persone.
L'accordo, che di fatto sancisce la totale capitolazione armena, ha consegnato all'Azerbaigian gran parte di ciò che il Paese aveva chiesto per anni nei negoziati: il ritiro dell'esercito armeno dall'area, la restituzione delle sette regioni occupate dall'Armenia durante la prima guerra (oltre il mantenimento del controllo di diversi distretti dell'oblast originario del Nagorno-Karabakh e della città di Shushi persi durante i combattimenti) e l'apertura di un corridoio di trasporto che permetterà all'Azerbaigian di collegare l'exclave azera del Nakhichevan attraverso l'Armenia. Anche l'Azerbaigian è però dovuto scendere a compromessi: l’accordo prevede la presenza militare russa nella regione per 5 anni, più ulteriori 5 se nessuna delle parti comunicherà 6 mesi prima della scadenza la propria contrarietà. Quasi 2.000 soldati russi, che operano come peacekeepers, sono ora di stanza sul territorio azero e vi rimarranno per almeno cinque anni.
Il conflitto ha anche sugellato il ruolo di primo piano di una Turchia sempre più assertiva e presente nel Caucaso: in generale, l'Azerbaigian ha vinto la guerra con il sostegno diplomatico e militare della Turchia, consolidandone la posizione come prezioso alleato non solo dello stesso Azerbaijan ma anche potenzialmente degli altri stati ex sovietici dell'Asia Centrale dove si parlano lingue turche, come il Kazakistan e l'Uzbekistan. Inoltre, funzionari militari turchi ora lavorano in un centro di comando situato ad Aghdam, in territorio azero, per il mantenimento della pace in Azerbaigian.
L'accordo ha fatto immediatamente scoppiare violente proteste in Armenia, con la popolazione che, all'annuncio del cessate il fuoco, assaltava il palazzo del governo a Yerevan esprimendo la rabbia per un accordo che vedeva l'Armenia capitolare nei confronti dell'Azerbaijan e con la folla che chiedeva le dimissioni del governo Pashinyan che lo aveva firmato. La rabbia esplodeva anche perché l'accordo del 9 novembre non diceva nulla sullo status a lungo termine del territorio del Nagorno-Karabakh. Poche settimane dopo, i profughi armeni del Nagorno-Karabakh scappati in Armenia dalla guerra, tornavano alle proprie case in autobus sorvegliati dalle forze di pace russe.
La guerra ha scavato un solco ancora più profondo solco tra le popolazioni armena e azera: il 15 novembre gli Armeni fuggivano dalla zona di Kelbajar che sarebbe ritornata entro poche settimane sotto il controllo azero e molti, prima di andare via, davano fuoco alle loro case. Vicino ad alcune delle case in fiamme c'erano rovine più antiche: i resti di case abbandonate un quarto di secolo prima, quando gli azeri fuggirono e gli armeni si trasferirono nella regione. La pace tra i due Paesi è ancora lontana.